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Cuor di leone

Res publica   19.02.09  

Di fronte all'8 settembre del Partito democratico, nel pieno della battaglia elettorale, gli aspiranti condottieri di domani hanno elaborato una strategia niente male: mettersi tutti d'accordo nel mandare avanti il vicesegretario di Veltroni, l'intrepido Dario Franceschini, ma soltanto fino alla fine della battaglia medesima - e cioè fino alla fine della campagna elettorale - per poi candidarsi tutti, freschi come una rosa, al congresso di ottobre. Perché in battaglia, si sa, può anche capitare di farsi male, perdere consensi, sporcarsi le mani e la faccia. Dunque tutti d'accordo - a cominciare da Veltroni, ovviamente - nel dare a questa crisi improvvisa l'esito più paradossale che si potesse immaginare: un leader che si assume la responsabilità della sconfitta a battaglia appena cominciata, ammette di aver fallito, quindi indica come suo successore il suo vice, e tutti coloro che fino a ieri si erano permessi di criticarlo, e avevano facilmente previsto il baratro in cui la sua linea li avrebbe portati, che lo applaudono felici e contenti.
E allora no, ci dispiace, non è una cosa seria. Perché le cose sono due: o ha ragione Veltroni, quando nell'assumersi ogni responsabilità fa capire chiaramente che a lui non ne spetterebbe nessuna, che la colpa è solo e sempre di quegli altri, quelli che la sua linea politica avrebbero instancabilmente sabotato, e allora non si capisce come quegli altri possano applaudire il suo "bel gesto" e appoggiare il suo vice; oppure Veltroni ha torto, perché è la sua linea che ha portato al disastro, e allora, com'è possibile che sia il suo vice a "voltare pagina"?

Via Left Wing.

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