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Dracmageddon

Res publica   15.05.12  

Il fallimento dei negoziati per la nascita di un governo di coalizione ad Atene e la completa incertezza sul nuovo passaggio elettorale che si prospetta a giugno ha scatenato nuove ondate di panico e azzardate speculazioni sul futuro della Grecia in Europa.
In quattro punti Stefano Lepri spiega perché l'uscita dall'euro e il ritorno della dracma sarebbero mosse suicide per Atene.

Punto primo. La Grecia non è in grado di sopravvivere da sola; non più di quanto potrebbe ad esempio - per avere un'idea delle dimensioni - una Calabria separata dall'Italia.

Senza aiuti dall'Europa e dal Fondo monetario, presto non avrebbe soldi né per pagare gli stipendi degli statali né per comprare all’estero ciò che serve ad andare avanti, tra cui alimenti e petrolio.

Punto secondo. Dopo la ristrutturazione a carico dei privati, oggi circa la metà del debito greco è in mano all'Europa o al Fondo monetario. Quindi se la Grecia non paga, ci vanno di mezzo soprattutto i contribuenti dei Paesi euro, cioè noi tutti (in una stima sommaria, circa un migliaio di euro a testa).

Punto terzo. Il ritorno alla dracma sarebbe vantaggioso solo nella fantasia di economisti poco informati, per lo più americani. Trapela ora che il governo Papandreou aveva commissionato uno studio dal quale risultava che perfino i due settori da cui la Grecia ricava più abbondanti introiti, turismo e marina mercantile, non sarebbero molto avvantaggiati da una moneta svalutata.

Punto quarto. L'incognita vera è quali danni aggiuntivi, oltre al debito non pagato, una eventuale bancarotta della Grecia causerebbe agli altri Paesi dell'area euro (in primo luogo crescerebbero gli spread). Di certo le conseguenze sarebbero asimmetricamente distribuite: più gravi per i Paesi deboli, in prima fila il Portogallo poi anche Spagna e Italia; meno gravi per la Germania.

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