Questo romanzo di Anthony O'Neill, autore pressoché sconosciuto in Italia, mi ha davvero emozionato.
Le atmosfere cupe, e goticheggianti della Edimburgo del 1870, terrori risvegliati, speculazioni sul bene e sul male, meditazioni sulla vita e sulla morte in un intreccio polieziesco ben strutturato mi hanno inchiodato sino all'ultima pagina.
Si avverte una vago sentore di E. A. Poe nelle sfumature psicologiche e negli spazi onirici che caratterizzano i personaggi del romanzo.
Si finisce per scoprire che la lotta tra lo spirito illuminista del credere solo alla ragione e la superstizione è soltanto un confine labile. Follia e ragione si intrecciano e si sovrappogono sino a risultare irriconoscibili.
La piccola orfana Evelyn, e l'investigatore Groves sono alle prese con una serie di efferati delitti perpetrati da una mano indefinibile e sanguinaria.
A una prima occhiata può apparire come la follia che muove la furia di una bestia, un pazzo che mosso da una aura di blasfemia colleziona delitti lasciando come tracce una serie di messaggi in varie lingue depositati accanto ai corpi dilaniati dei cadaveri.
La figura di un misterioso lampionaio, infittisce il mistero rendendo vana ogni speranza di razionalità.
Per svelare il mistero accorreranno in aiuto Thomas McKnight, un professore di logica e metafisica dell'università di Edimburgo, e Joseph Canavan, un becchino chiuso e asociale.
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