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I nomi del padre

Res publica   19.03.17  

L'etimologia di babbo e papà secondo l'Accademia della Crusca.

Accanto a padre, voce solo denotativa che indica "uomo che ha generato un figlio, considerato rispetto a quest'ultimo", l'italiano comune attuale dispone di due forme familiari affettive usate soprattutto come allocutivi: babbo e papà.

Le due voci si sono affermate in epoche diverse e con percorsi differenti, "affrancandosi" dal panorama delle varietà locali sottostanti in cui ancora nella prima metà del secolo scorso dominavano, sia al nord che al sud, derivati dal latino patrem contrastati da babbo diffuso in Sardegna, Toscana, Romagna, Umbria, Marche e Lazio settentrionale, oltre che da tata, in Lazio, Abruzzo, Puglia settentrionale e Campania, e atta in Puglia, Basilicata e Campania meridionale. Anche papà, benché a fianco di altri termini, era già diffuso in Piemonte, lungo la valle del Po, in Veneto, a Roma, in Umbria e nelle Marche (cfr. AIS, c. 5 I vol.).

Sia papà che babbo (come anche il meridionale tata e mamma o mammà) sono forme tipiche del primissimo linguaggio infantile, costituite dalla ripetizione di una sillaba, perlopiù formata dalla vocale a e da una consonante bilabiale (p, b, m), i suoni più facili da produrre per i bambini. Mentre babbo è una forma "autoctona", papà è effettivamente un francesismo, benché di "vecchia data", tanto che se ne trova testimonianza già nel XVIII secolo per il veneziano (cfr P. Zolli, L'influsso francese sul veneziano del XVIII secolo) e, nella variante pappà, appare già usato nel XVI secolo da un autore toscano, Pietro Aretino, in un dialogo dei suoi Ragionamenti, in libera alternanza con babbo: "Chi è la vostra figlia? Pappà, babbino, babbetto, non sono io il vostro cucco?".

La storia del progressivo affermarsi delle due forme può essere letta attraverso le testimonianze lessicografiche. Babbo compare sostanzialmente invariato dalla prima fino alla quarta edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca, dove si chiarisce che "dicesi solo da' piccoli fanciulli, e ancora balbuzienti" e si citano il volgarizzamento Libro della sanità del corpo di Aldobrandino da Siena ("Sì come è a dire, mamma, pappo, babbo, bombo") che rimanda al linguaggio infantile, e il XXXIII canto dell'Inferno ("Che non è impresa da pigliare a gabbo Descriver fondo a tutto l'Universo, Né da lingua, che chiami mamma, o babbo"). La "V Crusca" è più esplicita: "è voce, per lo più, de' fanciulli e, scrivendo, dello stile familiare e giocoso. Raddoppiamento della sillaba ba ch'è uno de' primi suoni che con facilità articoli il fanciullo, e che ha analogia in quasi tutte le lingue".

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