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Bearzot il Vecio

Res publica   21.12.10  

Enzo Bearzot al ritorno dalla vittoria mondiale nel 1982

Ci lascia a 83 anni.

Per me allenare l'Italia era una vocazione che, con il passare degli anni, è diventata una professione. I valori del gioco sono cambiati dai miei tempi. A causa dello sviluppo del settore e dell'ingresso sulla scena di grandi sponsor, sembra che il denaro abbia spostato i pali delle porte.

Tre anni fa in occasione del suo 80esimo compleanno su Repubblica uscì una sua notevole intervista.

La felicità è come un'arietta che ogni tanto accarezza il volto. Ma le ferite, anche morali, non passano mai, ti segnano una vita. Non le dimentico. E nemmeno le emozioni: l'Inter resterà il primo amore della mia vita e il Torino il più forte. Ci sono arrivato dopo Superga, facevano fatica a pagarci lo stipendio, le docce al Filadelfia erano gelate, ma quando vedevi la scritta "Ex igne fax ardet nova" ti sentivi dentro un orgoglio, un senso di appartenenza, una cosa da brividi. I brividi che ho quando ripenso agli anni che ho addosso, a chi ho perso per strada: mio padre quand'ero in Sicilia, mia madre quand'ero in Olanda, Scirea che è morto a 35 anni, Ferrini a 37, Baretti a 50, e poi Brera e Arpino, che avevano litigato in un certo senso per colpa mia, una convocazione di Bettega che Brera non condivideva, e ho il rimorso di non essere riuscito a mettere pace, prima che morisse Arpino

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