La fine del mondo è stata ordinata

Sono in bagno quando sento il rombo. Non ho il tempo di girarmi che il pavimento mi rimbalza sotto i piedi.
La scossa è lunghissima. Sento i mobili della cucina muoversi. Tonfi sordi. Sono i libri che cadono. La scossa è interminabile.
Esco alla meno peggio di casa. Faccio in tempo a prendere il cellulare. La strada è piena di gente rannicchiata. Molti indossano i caschetti. Quelli bianchi da cantiere.
Non urla nessuno. Nei film catastrofici è tutto un correre di qua di là gridando. Gli allarmi suonano all'unisono.
Quando la scossa finisce fai fatica ad alzarti. Ti tremano le gambe. L'adrenalina è al massimo. Qualcuno tira fuori il cellulare, altri si preoccupano delle condizioni dei vicini. C'è una strana elettricità nell'aria.
Si capisce subito che non è stata una scossa normale.
Il vicino di casa, 80 anni, mi fa segno con la mano. Ci sediamo sulla panchina. Mi racconta che è meglio riposarsi un attimo dopo la scossa, aiuta a calmarsi e a essere pronti per prestare soccorso. La paura fa commettere errori.
Mi chiede se ho un cellulare. Lo prendo dalla tasca e ci mettiamo a leggere le prime notizie.
Dopo dieci minuti si alza, entra in casa e ne esce poco dopo con berretta e bastone. Si avvicina e mi dice, andiamo.
Lo seguo per inerzia, nelle orecchie ho ancora il fischio degli allarmi, nelle gambe il tremore della scossa.
Attraversiamo il quartiere. I danni sono irrilevanti. Una finestra rotta, una pensilina caduta. La gente è tutta intorno a noi. Calma per lo più. Telefonano, leggono i loro schermi o discutono con poliziotti e pompieri. Le macchine transitano a passo d'uomo.
Arriviamo davanti al supermarket di Seiji. Il vicino di casa mi fa, diamo una mano.