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I post con tag "Australia" archivio

Come funziona la carbon tax australiana

Res publica   15.07.11   di Giuseppe Brescia
Brisbane

Dopo le elezioni dello scorso anno, che hanno fatto dei Greens l'ago della bilancia al Senato federale australiano, era inevitabile che il primo ministro Julia Gillard dovesse rimangiarsi la sua promessa elettorale di non introdurre alcuna carbon tax. I verdi, guidati dal senatore Bob Brown, ne hanno fatto una priorità, e pare stiano finalmente raccogliendo i frutti di un lavoro trentennale.

Il governo laburista di Gillard, con il sostegno dei verdi e i voti decisivi degli indipendenti alla camera, ha infatti presentato la scorsa settimana il suo gigantesco progetto volto ad introdurre una carbon tax per ridurre le emissioni dell'80% entro il 2050.

L'idea è semplice. Si tassano le emissioni inquinanti (23 dollari a tonnellata di CO2, e i tassati, per affrontare i costi, aumentano i prezzi per i consumatori (si prevede un aumento medio dello 0.7%, o $9.90 a settimana per la famiglia media), che beneficeranno di sgravi fiscali ($10.10 a settimana per la famiglia media). Nel frattempo le energie rinnovabili e i beni prodotti a basse emissioni, non essendo tassati, diventeranno sempre più competitivi, complice anche il progresso tecnologico, cambiando sul medio-lungo termine il comportamento dei consumatori, che saranno sempre più orientati verso prodotti a basse emissioni. A quel punto le compagnie tassate, perdendo sempre maggiori quote di mercato, hanno un doppio incentivo a passare anche loro a metodi di produzione più puliti. Dal 2015, poi, si passerebbe ad un sistema cap-and-trade.

Le critiche arrivano da ogni parte. Per gli ambientalisti non è abbastanza. Per i liberali è una soluzione centralista e statalista. Per i nazionalisti una tassa sulle emissioni inquinanti azzopperà l'economia e farà scappare i mai meglio definiti investitori in Africa, Sudamerica, o in qualsiasi altra parte del globo dove vari governi, più o meno irresponsabili, non hanno alcuna intenzione di affrontare la sfida del cambiamento climatico. In sostanza, dietro l'argomento apparentemente ragionevole secondo il quale un investitore sceglierebbe naturalmente il mercato più vantaggioso, queste persone si oppongono a qualsiasi carbon tax che non abbia un carattere globale (al che griderebbero al golpe planetario da parte di un qualche Nuovo Ordine Mondiale, ma quella è un'altra storia). Al di là delle previsioni tutt'altro che catastrofiche dei modelli matematici, va da sé che anche un paio di paginette di sussidiario riguardo le istituzioni internazionali potrebbero spiegare a questi signori l'impossibilità di uno schema simile allo stato attuale delle cose. Si invoca, fondamentalmente, un incosciente gioco del pollo con l'ambiente in palio. Oltretutto, se è vero che l'Australia ha un ruolo marginale per quanto riguarda il totale globale delle emissioni di CO2, è uno dei paesi che ne emette di più pro capite. E, soprattutto, i critici sembrano ignorare l'importanza di un effetto domino, e del proliferare di esempi positivi e produttivi che spingano sempre più governi a seguire la stessa strada. Vale la pena notare, a questo proposito, che diversi paesi hanno introdotto misure simili vent'anni fa. Certo, si tratta dei soliti noti, con in testa la Finlandia (1990), seguita da Paesi Bassi (1990), Norvegia (1991), Danimarca (1992), e il caso più emblematico, la Svezia, che nel gennaio del 1991 introdusse una tassa di 72 euro per tonnellata di CO2, salita poi a 101 euro nel 2007 (la carbon tax australiana invece, come detto sopra, prevede un prezzo comparativamente irrisorio: 23 dollari australiani a tonnellata, circa 17 euro), che ha portato ad una riduzione del 9% delle emissioni fra il 1990 e il 2006, un periodo nel quale l'economia svedese è cresciuta del 44%. Il tutto con un massiccio passaggio da combustibili fossili a biomasse ed altre rinnovabili, nelle quali oggi la Svezia è all'avanguardia. A leggere questi numeri si capisce bene per quale motivo nessun economista degno di nota sembri sposare le tesi catastrofiste dell'arrampicatore politico Tony Abbott e del suo delirante partito liberale.

C'è poi chi accusa e lincia i verdi (compreso il quotidiano generalmente filo-laburista The Australian) per aver insistito affinché le tecnologie di stoccaggio e sequestro dell'anidride carbonica fossero escluse da un fondo da 10 miliardi dollari destinato alle energie rinnovabili. Tuttavia, viste anche le varie difficoltà logistiche, il leader del partito Bob Brown ha detto chiaramente che, visti i loro profitti multi-miliardari, dovrebbero essere i big del carbone a pagarsi la propria ricerca, senza intascare soldi pubblici che, a suo dire, ha più senso destinare alle energie pulite propriamente dette.

Reazioni tutt'altro che catastrofiste arrivano anche da diversi addetti ai lavori, come Keith De Lacy, amministratore delegato della Macarthur Coal, che estrae carbone in Queensland. Aggiungiamoci il fatto che Peabody Energy e ArcelorMittal hanno appena fatto un'offerta di 4,7 miliardi di dollari per assorbire la Macarthur stessa, segno che gli investitori nel campo del carbone non sembrano poi così spaventati.

In ogni caso proposta passerà presto al vaglio del parlamento, dove, a meno di clamorose defezioni, diventerà legge. Con il proprio indice di gradimento al minimo storico (30% di soddisfatti a fronte di un 59% di insoddisfatti, molto più basso del 39-50 di Kevin Rudd quando i laburisti lo fecero fuori politicamente poco più di un anno fa in vista delle elezioni) così come quello del suo partito, Julia Gillard ha osato mettere la faccia su una delle misure più impopolari che potesse proporre, specie in un paese dove la lobby del carbone e i giganti del settore minerario riescono ad avere una notevole influenza. Coraggio è la prima parola che viene in mente. Fino ad oggi Julia Gillard ha cercato di piacere alla popolazione, con scarsissimi risultati. Potrebbe aver deciso che a questo punto tanto vale guidare il paese con l'autorità che le compete e fare scelte impopolari quanto importanti per il futuro. I prossimi mesi saranno cruciali, e c'è la possibilità concreta che il governo vada a casa fra due anni e che i liberali straccino l'intero progetto. Ma se Gillard dovesse invertire la tendenza, convincere con i fatti e centrare una vittoria elettorale - ad oggi apparentemente impensabile - alle prossime elezioni del 2014 sarebbe davvero il segno che qualcosa sta finalmente cambiando.

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I danni del ciclone Yasi

Res publica   03.02.11  

I danni del ciclone Yasi in Australia

Yasi si è abbattuto con violenza sul Queensland settentrionale.
Il ciclone ha perso intensità toccando terra, i danni provocati sono tuttavia ingenti anche se per fortuna non si segnalano vittime. Le interruzioni elettriche sono forse al momento il principale disagio e allarme per popolazione e governo.

La macchina della prevenzione e del soccorsi sembra aver ben funzionato per un disastro che minacciava conseguenze di gran lunga peggiori.
Va ricordato che la massima intensità raggiunta da Yasi aveva eguagliato quella dell'uragano Katrina che sconvolse New Orleans.

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Gli imbattibili samurai

Res publica   29.01.11  

Un momento della finale tra Australia e Giappone

Lee, tutto solo in mezzo all'area australiana, segna al 108' il gol della vittoria nipponica.
Il Giappone conquista la sua quarta coppa su quattro finali disputate.

Una partita equilibrata in cui l'Australia paga la poca esperienza e i tanti errori in fase conclusiva.
Gli uomini di Zaccheroni non brillano. Pungono poco per tutto il match, ma sanno sfruttare con malizia un grossolano errore della difesa dei Socceroos imponendosi a pochi minuti dalla fine del secondo tempo supplementare.

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Tra sbarchi di flotte inglesi e parate indiane per la Costituzione

Res publica   26.01.11  

La spiaggia di Bondi con una bandiera australiana

Parata militare a cavallo in India

In Australia si festeggia lo sbarco nella baia di Sydney della First Fleet, il 26 gennaio del 1788, capitanata da Arthur Phillip.
Con la fondazione della colonia del Nuovo Galles del Sud nasceva il primo nucleo della futura nazione australiana.

In India va in scena la parata per il Giorno della Repubblica.
Nel 1950 entrava in vigore la Costituzione della più popolosa repubblica della Terra.

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L'alluvione di Brisbane vissuta in prima persona

Res publica   19.01.11   di Giuseppe Brescia
Brisbane

Già sotto Natale mio suocero diceva che secondo una sua amica c'erano tutte le condizioni per una grande inondazione come quella del '74: una primavera e un'estate eccezionalmente piovose (dopo anni di siccità), il terreno zuppo d'acqua e le dighe piene. Poi, pochi giorni dopo, sono cominciate le disastrose esondazioni nel sud-est del Queensland: Theodore, Rockhampton, Emerald, Chinchilla, Condamine, Dalby, sommerse da metri d'acqua nel giro di un paio di giorni, durante il dicembre più piovoso degli ultimi 150 anni. Era in allerta anche la Sunshine Coast, poco distante da Brisbane, ma sembrava che il peggio fosse passato con il sole di Capodanno. E invece, dopo un'altra settimana di piogge torrenziali, il 10 gennaio Toowoomba, Grantham e la Lockyer Valley sono state colpite da un'ondata di piena di quelle che vengono una volta ogni qualche secolo. L'acqua è salita di quasi cinque metri in poco più di cinque minuti. Macchine e case intere sono state portate via dall'acqua. E la perturbazione responsabile di quel disastro ha poi puntato dritto verso Brisbane e verso le zone che riversano le loro acque nella diga di Wivenhoe, eretta in seguito all'alluvione del 1974 per evitare che un simile cataclisma potesse ripetersi. Qui, giusto a margine dell'inondazione, l'abbiamo vissuta più o meno così:

Martedì 11 gennaio

Non smette di piovere. La radio dice che siamo in piena allerta inondazione. Scendiamo fino a Orleigh Park, tre minuti a piedi lungo Montague Road, per scoprire che il fiume sta già esondando. Piano piano, quasi senza dare nell'occhio. Ha superato quel metro di rocce che gli fa da argine, e in alcuni punti ha già coperto il camminamento che serpeggia pochi metri più in là. Dopo i quattro mesi più piovosi degli ultimi decenni, il parco è una spugna gonfia, una distesa d'erba che sputa acqua ad ogni passo. Il fiume viaggia svelto. Due reporter di Channel 7 si affannano lungo il bordo dell'acqua, riprendono una barca che piroetta lungo il marrone del fiume, una, due, tre, cinque volte. Poi accende il motore e raddrizza la rotta, diretta al mare aperto prima che il fiume se la porti via. Immagini che rivedremo molte volte in vari notiziari - salvo il lieto fine, accuratamente tagliato dando l'impressione di un barcone fuori controllo destinato a schiantarsi contro un ponte o, peggio, qualche casa. Nonostante la tangibile realtà dell'emergenza, avverto i primi sentori di sensazionalismo. Si vocifera che la piena abbia contaminato l'acqua potabile. Che la diga di Wivenhoe rischi di cedere. Non è vero niente, ma quando passiamo al supermercato per comprare un po' di viveri a lunga conservazione, in caso manchi la corrente, sembra la scena di un qualche B-movie apocalittico. Code mai viste e scaffali sempre più vuoti. E sono solo le tre del pomeriggio. La nostra amica Sarah, complice la frenesia dei consumatori, crede alle voci di corridoio che vorrebbero Montague Road già sott'acqua, prende la figlia e la spesa e si fionda da sua madre, dimenticando di avvisare il compagno che la aspetta a casa. Una casa che è rimasta ben asciutta persino nel ‘74. Insomma, ancora non è successo niente ma c'è già un discreto panico. Intanto le autorità cercano di prendere in mano le redini della situazione, finora affidate a giornalisti geneticamente incrociati con gli sciacalli. Il sindaco Campbell Newman dichiara che giovedì mattina alle 4:00, in concomitanza con l'alta marea, il fiume toccherà 4.2 metri sopra il livello abituale. Poche ore dopo la premier del Queensland Anna Bligh annuncia invece che il picco sarà di 4.5 metri mercoledì pomeriggio alle quattro, e che l'acqua salirà di un altro metro entro giovedì mattina alle 4:00. L'ufficio meteorologico chiaramente fatica dietro ai suoi modelli matematici, ci sono troppe variabili in gioco. Le immagini dell'ondata di piena che si è abbattuta su Toowoomba il giorno prima, poi, sono ben più forti ed immediate di qualsiasi considerazione geologica, idrologica o meteorologica. Torno a casa, guardo il telegiornale. Le cifre citate fanno presagire un'inondazione assai meno catastrofica di quella, memorabile, del 1974. Un episodio di Dexter, e si andrebbe a letto relativamente tranquilli. Non fosse che in tarda serata i principali quotidiani online parlano improvvisamente della "peggior catastrofe degli ultimi 120 anni."

Mercoledì 12

Ci si alza presto, come al solito. Non c'è corrente elettrica. Scoprirò poi che manca dalle quattro del mattino. Scendiamo in strada, e il parco non si vede già più. L'angolo fra Montague Road e Orleigh Street è sotto un metro d'acqua. La polizia sta iniziando a presidiare le strade allagate. Su Forbes Street, più una cunetta che una via, un malcapitato furgone bianco è anche lui sotto un metro d'acqua, anche se in questo caso - vedi vasi comunicanti - l'acqua non è arrivata dal fiume, si è fatta largo lungo gli scarichi al bordo della strada. Anche Drury Street, nel suo punto più basso, comincia ad allagarsi. Il nostro amico Dave porta tutto quel che può dal garage alla casa vera e propria, sale in macchina, e va a stare da suo fratello. La sua coinquilina Margaret ci offre un fornelletto da campeggio e due bombole di gas, visto che siamo, ahimè, dotati di sola stufa elettrica. Mentre siamo in Drury Street ci perdiamo la visita lampo di Kevin Rudd, ex-primo ministro e rappresentante di questa circoscrizione in parlamento. Alle quattro del pomeriggio arriva il picco della giornata, vera e propria prova generale di quel che succederà il giorno dopo. L'acqua è salita di un altro metro abbondante. Del furgone su Forbes Street spunta soltanto un palmo. I cartelli delle vie e gli stop spuntano dal pelo dell'acqua. Il cornershop su Ryan Street è mezzo sotto, e così le zone basse di trenta quartieri. La fermata del traghetto di Guyatt Park non si vede più, spunta solo il tendone bianco, segno che l'acqua è effettivamente quattro metri e mezzo sopra il normale. Ma i più accorti cominciano a farsi i propri conti, usando le staccionate, l'occhio e i pollici per improvvisare le proprie stime. Sento dire che nel '74 l'acqua è arrivata alle finestre del caffè di Alberto - neanche questo è vero, scoprirò poi. Per eguagliare quel livello, l'acqua dovrebbe salire almeno di un altro metro, quel metro che tutti aspettano in nottata. In ogni caso, le mappe dell'inondazione del '74 danno la mia palazzina al sicuro, garage compreso. Giriamo sei negozi prima di trovare l'ultimo sacchetto di ghiaccio, un vero e proprio graal in questi giorni, e il freezer diventa ghiacciaia. Alle sei e mezza, poliziotti in acquascooter e canotti lungo Montague Road. Avessi uno smart phone, lo cinguetterei al volo. Il fornelletto a gas non ci serve, dato che Kat e Beck, che convivono due porte più in là, ci invitano per un barbecue a lume di candela. Chiamo i miei per tranquillizzarli. Metto la sveglia alle 3:10 del mattino giusto per andare a controllare che il tanto atteso picco non sia niente di catastrofico.

Giovedì 13

Dopo tante lugubri fanfare, quel che trovo, semiaddormentato, in fondo a Montague Road, è molto rassicurante. L'acqua sarà salita di altri 10-20 centimetri, al massimo. Il caffè di Alberto è salvo, l'acqua a cento metri da casa mia. Torno a dormire. Al secondo risveglio si comincia a capire cos'è successo. L'acqua ha toccato un picco di 4 metri e 46 al di sopra del livello medio, e nel corso della giornata di giovedì comincia a scendere, abbastanza da liberare la maggior parte delle strade di quest'angolo di West End. Si comincia a girare, in ricognizione. La casa davanti al fiume dei nostri amici Natalie e David e del piccolo Archer (evacuati martedì mattina a casa di amici in cima alla collina) che pensavamo del tutto sommersa, è stata inondata solo nel garage/cantina/ripostiglio, essendo su una discreta ma provvidenziale collinetta di fronte al parco. Anche la casa di Dave è salva, sebbene il cortile e il garage siano stati sommersi da un metro e mezzo d'acqua. La situazione è surreale, dato che il peggio è passato ma ancora non si può fare niente. Vado a fare rifornimento di ghiaccio e per cena vengono da noi Aynsley e Sarah, con Gracie che sta per compiere un anno. Con la famigliola riunita dopo la fuga in preda al panico di Sarah, ci scateniamo sul fornelletto a gas con tagliolini al sugo di funghi - anche se va detto che il sugo è pronto, i tagliolini sono delle lasagne tagliate per lungo così che non vadano a male, e sono un tantino scotti.

Venerdì 14

Rischierò di essere retorico, ma in otto ore capisco, una volta per tutte, cos'è lo spirito del Queensland, e dell'Australia in generale. Ci alziamo presto, curiosi di vedere quanto l'acqua sia scesa, visto che la diga ancora sta riversando megalitri su megalitri, per scongiurare disastri nel caso continui il periodo piovoso. Incontriamo Kat e Beck sul pianerottolo, già bardate con cappelli e stivali di gomma, e decidiamo di imbracciare scopettoni e pale e di vedere se possiamo aiutare qualcuno. L'angolo fra Montague Road e Orleigh Street è finalmente libero, ma è coperto da due dita di fango spesso e scivolosissimo. La strada brulica di gente. C'è chi è venuto a vedere le condizioni della propria casa, e c'è un esercito di sconosciuti pronti a dare una mano. I gazebo del comune, della protezione civile e delle associazioni di quartiere già stanno cercando di far combaciare le richieste e le offerte d'aiuto. Il fango va lavato via prima che diventi cemento e che proliferino i batteri. Ben presto sui marciapiedi delle zone colpite si affollano mobili, elettrodomestici, scatoloni. Noi cominciamo dalla casa di Natalie e David. Ci sono anche lì due dita di fango per terra nel garage/cantina, scatole e mobili da buttare, una lavatrice, due casse di vinili e un'infinità di cianfrusaglie. Si comincia a bagnare il tutto con tubi di gomma, mezzi ostruiti con due dita per dare un po' di pressione in più. Due bagnano, altri quattro spazzano. Per le undici e mezza il grosso del fango non c'è più. Un paio di passate con dell'acqua possibilmente pressurizzata serviranno, ma poteva andare molto peggio. A quel punto ci giunge voce che Dave ha una sola aiutante. Così io e René (che ha un aereo per Townsville fra meno di 24 ore e deve vedere i suoi il pomeriggio stesso, ma è venuto a dar manforte senza pensarci su) ci uniamo a Dave e alla sua amica Lynn. Lei arriva dall'Arizona, via San Diego, e sta qui da cinque anni. Bellissima, scalza e sorridente, aiuta Dave a lavare via il fango dal piano terra, fortunatamente adibito a poco più che un magazzino. Tanto a casa sua il garage da 120 posti è ricolmo d'acqua, e nonostante l'idrovora ci vorranno giorni per svuotare tutto. Meno di un'ora, e si rivede il rosso mattone del pavimento. Il giardino sul retro, però, è ancora sotto quaranta centimetri d'acqua. Brutta storia, fra i batteri che ci sono dentro e le zanzare che vi si accoppieranno sul finir del giorno. Mancano però l'ambita idrovora e un altrettanto raro generatore. René suggerisce di svuotare il giardino con dei secchi. Noi gli diamo retta. All'inizio sembra un'impresa impossibile, ma poi spuntano quattro omoni da cantiere, di quelli alti e spessi, con gli scarponi rinforzati e le divise blu e arancioni. Mai visti prima. Lavorano per BHP Billiton, la più grande compagnia mineraria del mondo, ma l'ufficio di Eagle Street era chiuso causa inondazione, e allora sono venuti qui a dare una mano a chiunque ne avesse bisogno. L'allegra brigata dei secchi, forte ora di sedici braccia (otto delle quali decisamente capaci e smaniose di far colpo su Lynn) lavora senza sosta per due ore e mezzo, e alla fine il giardino è fangoso ma libero da pozze. Guardare le ultime due pozze che lentamente scendono dà un piacere vero, viscerale. Sono le tre e mezza, e per ora c'è poco altro da fare. Faccio rotta verso casa per una doccia gelata (non che ci sia molta scelta, tutto il quartiere è ancora senza corrente) e mi accorgo che le stesse strade che sei ore prima erano coperte di melma sono ora asciutte e appena coperte di terriccio asciugato al sole, come se avesse piovuto terra. Quanti giorni ho passato a svuotare il giardino di Dave? Possibile che si possa fare così tanto in così poco tempo? Ripenso alle catastrofi italiane, ai tempi lunghi, ai volontari che a L'Aquila di certo non mancavano, ma che le carenze a livello di gestione costringevano a stare con le mani in mano per ore di fila. La sera usciamo a mangiare tailandese in uno dei pochi ristoranti in cima alla collina, dove la corrente c'è. Ci sono Dave, Lynn, Zoe, il suo ragazzo Greg di Ginevra e un cinquantenne parigino alluvionato, e diverse bottiglie di bianco. Meritate.

Sabato 15 e Domenica 16

Un lungo weekend di lavoro volontario e di attesa che le cose si rimettano in moto. Molte delle case sono state sgomberate dai detriti e lavate, anche se molti dovranno sventrare le pareti, nelle quali, sulla lunga distanza, si annida il pericolo vero. Qui a West End, tuttavia, non è stata tragica come in altri quartieri, come Oxley, Rocklea, Fairfield e Rosalie. Ovunque, intanto, e autorità lavorano per ripulire strade e parchi, per ritirare i rifiuti, ripristinare i collegamenti. Dave e suo fratello, entrambi elettricisti, lavorano tutto il weekend come volontari aiutando i tecnici di Energex. Perché riattaccare la corrente non è cosa facile. Innanzitutto c'è un guasto alla sottostazione. E poi bisogna controllare le prese di corrente sommerse di ogni singola casa colpita dall'inondazione, compilare un modulo e dare l'ok. Venerdì le case senza corrente erano 120.000. Sabato sera siamo a 30.000. Domenica pomeriggio 11.000 - noi compresi. Un lavoro gigantesco ed incessante, dall'alba al tramonto. Domenica trovo ospitalità dai nostri amici Fiona e Iian, dall'altra parte della città. Controllo le mail, tranquillizzo clienti e amici, faccio una doccia calda. La sera la luce ancora non c'è, ma siamo ottimisti, visto che da Dave, che pure è stato inondato di un metro e mezzo, è tornata. Intanto si cominciano a fare i conti e a tirare le somme. Si aprirà una commissione d'inchiesta sulla gestione della diga di Wivenhoe - risultati preliminari per agosto e conclusioni a gennaio 2012 - lasciata piena al 100% nonostante si sapesse delle piogge in arrivo, forse perché dopo anni di siccità non si voleva sprecare una goccia. La diga ha evitato un altro '74, ma c'è chi dice che con una gestione più oculata, rilasciando acqua in maniera controllata nella seconda metà di dicembre, si sarebbe potuto e dovuto fare molto di più per prevenire il cataclisma. Vedremo quali conclusioni raggiungerà la commissione.

Lunedì 17

Brisbane is open for business. Si ricomincia. Riapre quasi tutto. Nonostante le 20.000 proprietà danneggiate, incluse 5000 attività commerciali, i 4000 sfollati e i due miliardi di dollari di danni, si rialza la testa, grazie anche alle decine di migliaia di volontari che hanno reso possibile un recupero lampo nell'arco di un weekend. Sì, ci sono venti morti (sedici dei quali fra Toowoomba e Grantham), ma negli stessi giorni le alluvioni in Brasile hanno ucciso 650 persone, e mi rendo conto di quanto siamo fortunati, da queste parti. Ore 8:45: mi sto preparando ad uscire, ho delle traduzioni urgenti e mi tocca andarle a fare in biblioteca, visto che ancora non c'è corrente. Ad un tratto, la mia dolce metà esclama "Luce! Luce!" E luce fu. Lungo Forbes Street e sull'angolo di Montague Road si levano boati di approvazione. C'è tanto lavoro da fare, ma per citare la premier del Queensland Anna Bligh (che di solito mi fa rabbrividire di fastidio ma che secondo tutti ha fatto un ottimo lavoro nel gestire l'emergenza), la quale a sua volta citava un popolare canto da stadio, "siamo gente del Queensland, quella gente dura che cresce a nord del confine" (con il Nuovo Galles del Sud, NdA). "Siamo quelli che se ci buttano giù, ci rialziamo sempre." Per una volta, Mrs. Bligh, non potremmo essere più d'accordo.

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Brisbane sott'acqua

Res publica   11.01.11  

Il Brisbane river esonda in città

Le alluvioni che hanno flagellato il Queensland minacciano ora Brisbane, dove il fiume omonimo ha rotto gli argini inondando i quartieri limitrofi.
Nel frattempo il conto delle vittime sale e aumentano i dispersi in tutta la regione.

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Le ceneri del cricket

Res publica   29.12.10  

Il The Ashes, letteralmente "Le Ceneri", è una serie di test match di cricket tra le nazionali di Inghilterra e Australia.
E' la più antica competizione internazionale di cricket e una delle più antiche manifestazioni sportive ancora in corso essendo stato istituito nel 1882.

The Ashes deve il suo nome all'insoluta circostanza in cui nacque.

Nel test match disputato a partire dal 28 agosto 1882 al The Oval di Londra per la prima volta nella storia la selezione inglese fu sconfitta in casa dagli australiani.
L'evento scosse gli animi tanto che la rivista Sporting News pubblicò un ironico necrologio per ricordare la morte del cricket inglese e il fatto che le ceneri sarebbero state portate in Australia.

In Affectionate Remembrance
of
ENGLISH CRICKET,
which died at the Oval
on
29th AUGUST, 1882,
Deeply lamented by a large circle of sorrowing
friends and acquaintances
----
R.I.P.
----
N.B.-The body will be cremated and the ashes taken to Australia.

Nel dicembre del 1882 il Conte Ivo Bligh fu capitanò la selezione inglese in tre test match in terra australiana. Il mondo del cricket, l'allora Impero Britannico trattenne il fiato per settimane.
L'Australia vinse la prima partita, ma la selezione inglese conquistò le ultime due vincendo la serie.
Al termine del terzo test match, Bligh fu trattenuto da due signore australiane - una delle due, Florence Morph sarebbe diventata la sua futura sposa - che gli consegnarono una piccola urna con al suo interno le ceneri di alcuni bail - i paletti delle porte del cricket -.

Bligh riportò in patria e l'urna e i tifosi affermarono che le ceneri erano state riconquistate. Quella tradizione non si sarebbe più persa.

Oggi l'Inghilterra ha stracciato l'Australia, infierendo la peggiore sconfitta da 98 anni a questa parte alla selezione verde oro, conquistando il diritto a detenere l'urna.

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