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I post con tag "Proteste" archivio

Lo stato delle proteste in Ucraina in una mappa

Res publica   26.01.14  

Lo stato delle proteste in Ucraina in una mappa

Gordonua segue in diretta le proteste in Ucraina e aggiorna la mappa della situazione nei ventiquattro oblast.
In giallo gli edifici governativi sotto il controllo del manifestanti. In viola gli edifici governativi bloccati dai manifestanti. In arancio le proteste di massa e in blu gli organi legislativi regionali filo-governativi che hanno fatto dichiarazioni contro i manifestanti.

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La dichiarazione del presidente Obama sulla situazione in Egitto

Res publica   04.07.13  

Il presidente Obama stretto tra due fuochi, l'appoggio ai manifestanti anti Morsi e la norma di legge che blocca gli aiuti a paesi terzi in caso di golpe militare, si è detto preoccupato per la situazione in Egitto auspicando il ritorno di un governo democratico.

As I have said since the Egyptian Revolution, the United States supports a set of core principles, including opposition to violence, protection of universal human rights, and reform that meets the legitimate aspirations of the people. The United States does not support particular individuals or political parties, but we are committed to the democratic process and respect for the rule of law. Since the current unrest in Egypt began, we have called on all parties to work together to address the legitimate grievances of the Egyptian people, in accordance with the democratic process, and without recourse to violence or the use of force.

[...] No transition to democracy comes without difficulty, but in the end it must stay true to the will of the people. An honest, capable and representative government is what ordinary Egyptians seek and what they deserve. The longstanding partnership between the United States and Egypt is based on shared interests and values, and we will continue to work with the Egyptian people to ensure that Egypt’s transition to democracy succeeds.

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Un colpo di stato può essere democratico?

Res publica   03.07.13  

Alla luce della situazione egiziana all'annuncio della deposizione del presidente Morsi, Foreign Policy si domanda se il colpo di stato militare in atto in Egitto conro un regime autoritario si possa definire democratico. Qualcosa di analogo a quanto accaduto in Portogallo durante la Rivoluzione dei garofani nel 1974.
Secondo Ozan Varol, professore alla Lewis & Clark Law School di Portland, ci sono sette requisiti perché possa essere definito tale.

(1) the coup is staged against an authoritarian or totalitarian regime; (2) the military responds to persistent popular opposition against that regime; (3) the authoritarian or totalitarian regime refuses to step down in response to the popular uprising; (4) the coup is staged by a military that is highly respected within the nation, ordinarily because of mandatory conscription; (5) the military stages the coup to overthrow the authoritarian or totalitarian regime; (6) the military facilitates free and fair elections within a short span of time; and (7) the coup ends with the transfer of power to democratically elected leaders.

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I cartellini rossi di piazza Tahrir

Res publica   30.06.13  

Manifestanti a piazza Tahrir

Cartellini rossi contro il presidente egiziano Morsi

Oppositori del presidente Morsi al Cairo

Oppositori del presidente Morsi

Donne manifestano contro il presidente Morsi

Oppositori del presidente Morsi in piazza Tahrir

Milioni di egiziani sono scesi in piazza per chiedere le dimissioni del presidente Morsi nell'anniversario della sua elezione. Migliaia di cartellini rossi sono stati sventolati in piazza Tahrir al Cairo a simboleggiare l'espulsione del governo egiziano.
Il bilancio degli scontri tra sostenitori e oppositori del presidente egiziano è di almeno 7 morti e più di 600 feriti.

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La primavera turca

Res publica   04.06.13  

Marta Ottaviani su La Stampa racconta i giovani ispiratori delle proteste contro il governo Erdogan che stanno scuotendo la Turchia.

Un lavoro lento e meticoloso, l'organizzazione della rivolta, preparato per mesi. «Il nostro segreto - racconta Sule, giovanissima e sulle prime molto diffidente - è stata la conoscenza del territorio. Decine di persone hanno passato settimane a fare un lavoro di connessione con gli abitanti del quartiere discreto, in modo da non dare nell'occhio. I lavori in Piazza Taksim sono partiti sei mesi fa. Erdogan sarà anche stato sindaco di Istanbul ma non ha capito quanto sia importante quella Piazza e che può toccare tutto, a Taksim e il Gezi Parki li deve lasciare stare».

Mesi di attività porta a porta, quindi, di caffè offerti, di scuse per attaccare bottone e capire quanto si potesse contare sull’interlocutore di turno, soprattutto le donne, che soprattutto all’inizio erano maggioranza nel movimento. Prima a Beyoglu, l'antico quartiere di Pera, un tempo regno dei Greci di Costantinopoli. E infine le università, dove il passaparola è dilagato alla velocità della luce. «Con il tempo - continua Yusuf - ci siamo accorti che eravamo sempre di più, sempre più strutturati e che la gente non era arrabbiata solo per la questione della piazza e degli alberi. Era preoccupata per la libertà, per questa Turchia che sembra diventata più ricca, ma dove i poveri sono ancora più poveri di prima, per il diritto a esprimere le proprie opinioni».

E così, quando la data della distruzione di Gezi Park è arrivata non si è fatto altro che passare alla parte B del piano: i social media. «Twitter ci ha aiutato - continua Sule -. Ma penso che vadano sottolineate due cose, la prima è che siamo arrivati con una base che comprendeva già svariate centinaia di persone, la seconda è che la risposta è stata immediata la gente era già pronta di suo».

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Cosa sta succedendo in Turchia

Res publica   02.06.13  

Il reportage dalla Turchia sugli scontri tra manifestanti e polizia alimentati dalla rabbia contro la violenta repressione di un corteo ambientalista che difendeva dall'abbattimento l'area di Gezi Park accanto a Piazza Taksim a Istanbul e ora sfociati in proteste di piazza in tutto il paese contro le pulsioni estremiste del governo Erdogan.

[...] la protesta ha preso una dimensione che va oltre quella locale e quella strettamente ambientalista. Si è infatti espansa ad Izmir e Ankara dove, dice Ajda, "mi dicono che hanno bisogno di aiuto, più di noi al momento". Una professoressa dii architettura che preferisce mantenere l'anonimato, parla di "250 dimostrazioni in più di 65 città dal 30 maggio ad oggi" e di "migliaia di feriti negli scontri, di cui molti gravi". "Ci sono seri problemi con il govverno turco. Stanno cambiando le leggi per attribuirsi maggiori poteri. I media sono governativi e le prigioni sono piene di giornalisti. Di recente hanno imposto leggi restrittive sull'alcol. Hanno preso perfino il controllo delle università, decidendo chi assegnare ai ruoli di rettore". In più c'è la partecipazione in Siria: poco tempo fa abbiamo perso più di 100 vite a Hatay, Reyhanli. La gente è stufa".

Se la professoressa e Ajda parlano di una protesta collettiva, che comprende etnie e religioni diverse unite dall'urgenza della situazione, per Onur si tratta comunque di un gruppo di persone ben definito. "E' vero, chi manifesta non fa distinzione di etnia o religione ma sono comunque secolari, occidentalizzati, di sinistra e legati al partito di opposizione. In definitiva, sono kemalisti. Una minoranza, il 25% della popolazione, ma anche un'elite che è stata al potere dall'istituzione della repubblica fino a 10 anni fa", conclude. "I miei amici che hanno preso parte mi hanno raccontato della violenza della polizia e qualcuno ha parlato addirittura di 5 morti ma girano tante voci che poi vengono smentite". Secondo Onur la polizia avrebbe usato gas al peperoncino e forse "gas arancione" ma non è una novità. "La gente che oggi protesta non si è mai dovuta scontrare con questa realtà ma è sempre esistita. Dov'erano quando ad esser vittima della polizia erano i curdi o gli armeni?". Ma il ricercatore è comunque positivo: questa, dice è l'unica via per la democrazia.

Così come nelle proteste di Tahrir, ad organizzarlo sono state prevalentemente persone in grado di usare internet e dunque soprattutto giovani. "Twitter è stato il mezzo più usato, è bastato ritwittare il messaggio per spargere la voce". L'hashtag, tuttora in uso, è "occupygezi" per l'inglese e "diringezy" quello turco. Ma il governo lo sa e hanno posto un blocco sulle linee dei telefoni mobili, racconta Ajda.

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